Atto II DISTANZIAMENTO - Scena 2: NOMOFOBIA

 

Immagine creata da AI (ADMIND)

Non si chiama più telefono, anche se serve per telefonare; lo smartphone in italiano è diventato il cellulare. Negli anni Ottanta della mia giovinezza era il furgone con cui la Polizia trasportava i detenuti. Per Incoronata «si chiama cellulare perché ti entra nelle cellule».

Nel suo lockdown angosciato esso diventa la connessione per antonomasia: «io sono connessa sono connessa», ripete chiusa nelle sue stanze e benedice quel collegamento, non solo col mondo, anche col cosmo, con se stessa, col divino. La luce dello smartphone è la via di fuga ed è la strada di casa, è bugie e finzione e cruda verità, il tutto e il contrario di tutto escono incessantemente dal suo schermo, in un flusso ipnotico da provocare le vertigini e la nausea.

Nomofobia significa identificazione con il proprio telefono mobile: No Mobile Phobia; in caso di mancanza o rottura del cellulare la persona affetta da questa psicosi attraversa stati d'ansia o di panico. La nostra Incoronata potrebbe esserne vittima perché manifesta sentimenti di affetto, gratitudine e tenerezza nei confronti del suo telefono che «sussurra canzoni e notifiche», «sempre acceso a vegliare su di me».

È lui che veicola il flusso di informazioni che, come un sangue, nutre i pensieri di Incoronata, è a lui che rivolge la domanda cruciale, in preda alla confusione, durante la «merenda di news»: «Ma ci dicono la verità?»

È sempre lui, il cellulare, a ricordare che l'indomani avrebbe incontrato Ovidio, «catapultati fuori dagli schermi» e si addormenta con un sorriso emozionato.

%continua

20 Aprile 2024

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